psicoblog
Motivazione e cambiamento
IN VIAGGIO FRA DIVERSITA' E FAMILIARITA'
Eric J. Leed nell’epilogo del libro La mente del viaggiatore pone l’accento su un diffuso senso di nostalgia per i tempi in cui il “viaggio era davvero viaggio, quando esisteva un confine fra il noto e l’ignoto, quando la fuga era ancora possibile” (1992, pag. 347). Il paradosso della civiltà globale è che si può trovare il familiare agli estremi opposti del globo ed il non familiare proprio sotto casa: l'ironia è che la cultura globale nasce, come evidenzia l’autore, da generazioni di viaggi. Il viaggio non è più un fatto eroico, è diventato comune, non solo, è diventato la fonte della nostra vita in comune e della nostra comunità: non è più la ricerca dell’antitesi su cui affermare e convalidare la tesi della propria identità attraverso il confronto di ciò che è altro e diverso da noi (così come per Ulisse o i grandi esploratori della storia), ma il viaggio nell’era contemporanea viene interpretato da molta letteratura sul tema, come ricerca degli elementi con cui costruire tale tesi... l’antitesi è inserita direttamente all’interno della struttura della società globale: il confronto fra culturalmente simile e/o differente per ciascuno di noi è parte del vivere quotidiano nell'era della globalizzazione. Nonostante questa differenza che riguarda l’ambito della costruzione dell'identità personale, la motivazione che spinge a varcare i propri confini è comunque sempre il bisogno di assaporare la potenza del cambiamento attraverso la ricerca della differenza ed il confronto con altri in altri luoghi...è il potere del mettersi alla prova in contesti nuovi ed il fascino della ricerca dell’inesplorato; questo il motivo per cui la standardizzazione spesso delude il viaggiatore, ma crea anche un limbo di conforto. Dal punto di vista psicologico è importante rendersi conto dei propri limiti nell’intraprendere un viaggio, infatti recandosi in luoghi davvero tanto "lontani" dalla cultura di riferimento è possibile che la nostra sensibilità o immaturità ci porti alla sofferenza psichica piuttosto che alla scoperta di un potere di cambiamento, si può verificare un trauma, se non siamo preparati o abituati a metterci alla prova attraverso il confronto con ciò che è diverso, ad esempio: se da tutta la vita abito in un paese di 10.000 abitanti dove conosco molte persone e so cosa aspettarmi e, senza altre esperienze di viaggio, mi proietto a trascorrere due settimane a New York o a Tokyo, metterò a dura prova le mie capacità di adattamento. A questo punto si potrebbe verificare un senso di insicurezza ed impotenza, piuttosto che forza e competenza. Il turista impreparato che fa il passo più lungo della gamba, potrebbe perdersi e non trovarsi più nemmeno una volta tornato fra i propri confini familiari. In ogni caso, con il ritorno, il luogo da cui si è partiti cambia aspetto, acquista il significato di qualcosa di prescelto e non più assegnato dall’evento casuale della nascita: lo sguardo rivolto a “casa” a questo punto proviene dall’esterno, non più dall’interno. Leed definisce il viaggio una “perdita continua”: è quel senso di perdita, di assenza, che offre l’esperienza di riscoprire con nuovi occhi ciò che si considerava scontato: “Siamo una persona nuova, che ha trovato una ricreazione e se non ci sentiamo rinnovati, lo scopo stesso del viaggio è stato mancato!” (cfr. 354).
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AutoreDr.ssa Chicchi Elisa Francesca. Archivi
Novembre 2016
Vacanza, turismo, identità. |
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